Ci fu un’era in cui trovare un film sui viaggi nel tempo era una vera impresa. Per anni ci siamo nutriti e rinutriti di "The Butterfly effect", "Back to the future", "Looper" e parlarne in giro con gli amici sembrava quasi un argomento carbonaro, un peccato inconfessabile. Non mancava pure chi redarguiva aspramente con un “ma come fai a credere a ste cose” che suonava come un pugno secco allo stomaco. Poi "Interstellar", il multiverso Marvelliano, quello di DC, "Tenet" e la miriade di film e serie su Netflix, Prime, etc. e l’universo non è stato più riduttivamente “uni”, ma ha consolidato nell’immaginario collettivo la sua natura “multi”, divenendo il gustoso piatto di spaghetti che abbiamo assaporato nel recentissimo "The Flah".
Fermo restando che la comunità scientifica non ha maturato novità di rilievo sulla reale esistenza del multiverso e l’attuale tecnologia è ben lontana dal consentirci balzi pindarici tra una linea e l’altra del tempo, ci chiediamo allora a cosa sia dovuto questo proliferare di film, libri e articoli sullo spazio-tempo multidimensionali?
Provo a ipotizzare che la dilagante letteratura in materia sia soltanto la conseguenza di qualcosa di più intimo e sostanziale e cioè il nostro diverso approccio con la realtà che ci circonda. In una società che scorre impazzita come una saetta, irrimediabilmente in bilico tra reale e virtuale, che crea mode e le distrugge in un attimo, mette in circolo notizie che vengono smentite un’ora dopo, consolida nuovi mestieri come l’influencer e nuove forme di proselitismo di massa come i followers, la nostra mente, confusa e barcollante, vive costantemente il timore del fallimento, di fare cioè scelte che si riveleranno sbagliate e non avere più la possibilità di tornare indietro. Ecco che allora, l’idea del multiverso, come un’entità che può rimetterci in pista, proprio come al "gioco del 31" se sei morto e un altro giocatore ti rivolge la parola, diviene una preziosa fonte di conforto e speranza nel caso in cui ci accorgessimo che la nostra vita non stia andando affatto come desideravamo. Così, al concetto di "ineluttabile fallimento" subentra miracolosamente quello più accattivante e rassicurante di "seconda opportunità".
In quest’ottica, è del tutto normale che, a differenza del passato, lasciamo volentieri a fisici e scienziati l'esclusiva sui fini ragionamenti logico-matematici, i dubbi e le incertezze di questo e quell'altro mondo. Basta per noi affanni che complicano l'esistenza e non portano a nulla. Che ci frega se saltando in un'altra linea temporale il nonno muore o se incontrando noi stessi rischiamo di autodistruggerci ogni dove, quel che conta è tornare a star bene con la mente, in un uni-verso o nell'altro, con la fantasia a palla..